“Si tratta dunque di una precisa strategia neoliberale con risvolti di darwinismo sociale, coperta da un arrembaggio giovanilistico rottamatorio che in un paese come gli Stati Uniti, sbandierato a proposito e a sproposito dai “nuovi intellettuali” come faro progressista, sarebbe accusato senza mezzi termini di age discrimination (e, per inciso, sbarrerebbe qualunque carriera accademica a chiunque se ne facesse portatore)”.
La citazione è da un articolo a firma di Ida Dominijanni http://www.centroriformastato.it/4703-2/
ed è utile come introduzione a una breve riflessione sull’uso retorico del giovanilismo da parte dell’ideologia renziana.
Sulle assonanze col fascistico “giovinezza giovinezza eja eja trallalà”, come variava nonno Gino, s’è già detto da molte persone, vorrei invece soffermarmi sull’utilità funzionale dello pseudo concetto “largo ai giovani in quanto giovani”. Sono limitata, si sa, e rimango nell’ambito limitato della politica del patrimonio culturale, con due esempi:
1) i criteri di scelta delle persone cui affidare le direzioni dei nuovi super musei scorporati per primi dalla pertinenza delle Soprintendenze; non intendo entrare nel merito del congegno concorsuale, intendo soltanto mettere in evidenza come il fattore dell’età anagrafica sia stato presentato con enfasi (notate che non scrivo “sbandierato”, diciamo “presentato con enfasi”) come elemento qualificante nella scelta. Con ciò implicitamente asserendo che una persona giovane è meglio di una persona vecchia, a prescindere da qualsiasi altro criterio, quale formazione, competenza, capacità dimostrate, etc. Cioè da qualsiasi altro criterio che a prima vista potrebbe essere uno dei criteri guida nella scelta della persona cui affidare una qualsiasi grande istituzione.
2) Il reiterato tentativo di inserire in qualsiasi concorso il limite di età, ciò che è andato a buon fine con il cd. Bando 500 giovani per la cultura. Quel bando contro il quale tutte le associazioni professionali del patrimonio culturale hanno indetto la ormai storica manifestazione dell’11 gennaio 2014 a Roma e contro il quale si era fatto un ricorso. In base ai precedenti, o meglio a qualcuno dei precedenti, i partecipanti presumevano di avere titolo di preferenza nell’immissione in ruolo, ciò che era, nella lettera, una presunzione errata, ma nello spirito del tutto coerente ai pincipi ispiratori della ideologia giovanilistica di cui parliamo. Per questo profetizzo che, stando così le cose, i 500 tirocinanti avranno la strada spianata.
Se è necessario esplicitare, preciso che la coerenza tra presunzione dei 500 e princìpi ideologici dominanti si spiega con il criterio unificante dei due episodi citati, “si parva licet”, senza che si offendano le studiose e gli studiosi personalmente implicati: attribuire un ruolo, grande o piccolo, a persona che in altre circostanze non sarebbe stata altrettanto favorita, a confronto di altre, in base ai criteri su elencati (formazione, competenze, capacità dimostrate), rende possibile un rapporto di dipendenza tra chi attribuisce il ruolo e chi ne riceve l’attribuzione. E’ un dato di fatto. Al di là di qualsiasi valutazione di merito individuale. Ed è questo rapporto di dipendenza che i regimi autoritari ricercano. Questo criterio era all’opera anche prima, in altre forme? Certo. Eccome se lo era. Ma la differenza è che oggi ridiventa un principio ideologico dello Stato. Santificato.